linea calda — il nostro “mondo fuori”, ma da dentro — ep.otto: gagarin

linea calda è una rubrica di interviste anonime ad atleti e professionisti del mondo della montagna.
è uno spazio, questo, in cui vengono riportate le contraddizioni, le illusioni, i no-sense che un professionista è costretto ad affrontare oggigiorno nell’industria di mamma outdoor. il tutto senza tanti fronzoli.
ai partecipanti, per garantire loro la massima libertà d’espressione, è stato cambiato il nome; a qualcuno di loro anche il sesso. da qui il carattere anonimo del format.

ho deciso di iniziare questa rubrica perché il mondo della montagna ha preso una direzione che mi preoccupa e che credo sbagliata -o sicuramente migliorabile- per noi che la frequentiamo e, ovviamente, per la natura stessa. ci sono tanti miti da sfatare, comportamenti che richiedono una certa consapevolezza, retoriche superate. e tanto altro che non conosco e che spero di imparare intervista dopo intervista.

lamento delle forti e ingiustificate frustrazioni verso qualsiasi pensiero o azione che non reputo, anche se in minimissima parte, indirizzate verso il bene comune, qualcosa di più grande. questo podcast non verbale ha l’unico e ambizioso scopo di far riflettere, e perché no, di migliorarci.

l’ottava intervista è del mio amico gagarin, poco astronauta ma tanto esperto di comunicazione. gagarin lavora da anni (tanti anni, gagarin non è mica un pischello; lo sberleffo mi costerà caro) con aziende pubbliche e private per la realizzazione di eventi culturali inerenti agli sport outdoor.

TRALASCIANDO IL FATTO CHE TI SIA STATO CHIESTO, PERCHÉ HAI DECISO DI PARTECIPARE A QUESTA RUBRICA?

perché sono anni che parlo male dell'industria dell'outdoor e questa è un'altra buona occasione per farlo. A parte il sarcasmo, penso sia un'occasione per riflettere senza riserve, oltre al fatto che Matteo PAvana è un vecchio amico e mi fa piacere fare questa piccola cosa con lui.

QUALI SONO I PRINCIPALI PROBLEMI DELL’INDUSTRIA DELL’OUTDOOR, ORA COME ORA?

Direi prima di tutto una carenza di cultura. 
Tranne piccole eccezioni, il mondo outdoor è guidato da persone che pensano al business con una visione a breve termine, allo stesso modo in cui si occuperebbero di una industria di bulloni o di creme per i piedi. 
Un caro amico diceva che era frustrante lavorare in un settore in cui buona parte dei manager non aveva mai dormito in un bivacco. ovviamente è un esempio, ma il paradosso che indica è tangibile e fa sì che si lavori pensando prima al prodotto che alle persone, prima agli sponsor che alla community. Questo si riflette anche sul tema della sostenibilità: se ti occupi di outdoor dovrebbe essere una priorità concreta per tutti, ancora più che per gli altri settori, proprio perché quello che "vendi" è esattamente quell'ambiente naturale che non stai preservando abbastanza.

QUALI SONO INVECE LE PROBLEMATICHE PRINCIPALI CHE RISCONTRI, NEL TUO SETTORE, OGGIGIORNO?

Il mio settore è questo.Ogni giorno mi confronto con manager del tutto privi di spessore e di amore per quello che fanno. E' solo una questione di soldi e di andare a dormire tranquilli. Un altro aspetto che vorrei sottolineare è legato alle strategie commerciali: si imballano i negozi di merce riducendo tutto il lavoro alla vendita, dimenticandosi che in questo settore fatturato e cultura dovrebbero andare di pari passo. Io - ma ammetto che magari sono stato sfortunato - ho incontrato pochi manager illuminati, dotati di una visione a lungo termine, capaci di capire che conta di più avere un "cliente" che si innamora della montagna, anche grazie a te, in qualche modo, piuttosto di due clienti che si comprano gli sci nuovi.  

QUALE È STATA LA COSA PIÙ STRANA CHE TI SIA STATA CHIESTA? A QUALI COMPROMESSI SEI DOVUTA SCENDERE?

Cose strane no. Mi sarebbe però dispiaciuto di meno, perché a volte la stranezza è interessante. Mi hanno chiesto invece spesso di fare cose stupide, parecchie. E il compromesso è proprio questo: le fai sapendo che è l'unico modo per lavorare con certe aziende e persone. e sapendo che l'obiettivo a volte non è fare bene, fare cose belle e utili, ma far fare bella figura a qualcuno. Quando poi sei tu a sottoporre alle aziende dei progetti, per me è veramente complicato: le sponsorizzazioni, tranne rari casi, sono sterili progetti legati al brand e non investimenti sulle persone, sulla cultura e sulla community. 

DI COSA HA BISOGNO UN PROFESSIONISTA, RELATIVAMENTE AL TUO SETTORE DI RIFERIMENTO, IN QUESTO PERIODO STORICO?

di competenza, di passione, di autenticità, prima di tutto e anche della capacità di sviluppare molte competenze. ma, cinicamente, anche di  buoni contatti e di molta voglia di farsi il mazzo, magari per anni, prima di arrivare a costruirsi una professionalità riconosciuta e portare a casa uno stipendio. Io, dopo 20 anni, mi sono costruito una piccola credibilità personale e questa mi permette anche di dire che certe cose sono sbagliate o inutili.

DI COSA HA BISOGNO LA MONTAGNA INVECE?

Di cura. da parte di tutti e in tutti i modi. Io non sono a favore degli integralismi: la montagna deve anche essere accessibile, avere una proposta turistica, attirare persone di ogni genere. Ma questo deve essere parte di una visione più ampia, che parta da una visione "olistica", sociale e culturale e naturale delle terre alte. io non sopporto più chi continua a parlare solo di sci dimenticandosi che le montagne non sono riducibili ai comprensori sciistici e tanto meno alla riproduzione dell'ambiente urbano in alta quota. Ci sono molte storie interessanti in montagna, molti giovani stanno tornando a viverci: penso che manchi una visione politica e imprenditoriale. Più librerie e meno skilift, mi verrebbe da dire. ma anche più contadini, perché sono loro i primi a curare il territorio.  

TI PIACEREBBE UN GIORNO RIVELARE AI LETTORI LA TUA IDENTITÀ E FARTI PORTAVOCE DI QUANTO HAI SCRITTO?

CERTO.

SAPRESTI DARE UNA POSSIBILE SOLUZIONE ALLE PROBLEMATICHE CHE HAI EVIDENZIATO?

Io non ho la competenza per affrontare problemi cosi complessi, ma penso che occorra partire proprio da qui: dal fatto che quando si parla di montagna e di outdoor si parla di un sistema che richiede cultura, competenze, cura. Io partirei dalle persone: di cosa ha bisogno chi vive in montagna per vivere bene? Il turismo e lo sport vengono dopo. Dobbiamo partire dalle scuole, dai mezzi di trasporto, dagli ospedali, ma anche da sgravi fiscali per chi crea lavoro. Il turismo è una parte di questo mondo, la montagna non può chiudere quando finisce la stagione dello sci. 

COS’HA QUESTO MONDO, QUELLO OUTDOOR, DI DIVERSO DA TUTTO IL RESTO CHE TI CIRCONDA?

che vive a contatto con la natura. e la vende. QUESTA è una contraddizione intrinseca di cui occorre essere consapevoli.

C’È QUALCOS’ALTRO CHE CI TERRESTI PARTICOLARMENTE AD
AGGIUNGERE?

no, direi che è tutto. ciao matt.

linea calda — il nostro “mondo fuori”, ma da dentro — ep.sette: virginia

linea calda è una rubrica di interviste anonime ad atleti e professionisti del mondo della montagna.
è uno spazio, questo, in cui vengono riportate le contraddizioni, le illusioni, i no-sense che un professionista è costretto ad affrontare oggigiorno nell’industria di mamma outdoor. il tutto senza tanti fronzoli.
ai partecipanti, per garantire loro la massima libertà d’espressione, è stato cambiato il nome; a qualcuno di loro anche il sesso. da qui il carattere anonimo del format.

ho deciso di iniziare questa rubrica perché il mondo della montagna ha preso una direzione che mi preoccupa e che credo sbagliata -o sicuramente migliorabile- per noi che la frequentiamo e, ovviamente, per la natura stessa. ci sono tanti miti da sfatare, comportamenti che richiedono una certa consapevolezza, retoriche superate. e tanto altro che non conosco ma che spero di venire a conoscere intervista dopo intervista.

lamento delle forti e ingiustificate frustrazioni verso qualsiasi pensiero o azione che non reputo, anche se in minimissima parte, indirizzate verso il bene comune, qualcosa di più grande. questo podcast non verbale ha l’unico e ambizioso scopo di far riflettere, e perché no, di migliorarci.

virginia l’ho incrociata due volte. ed entrambe le volte ci siamo solo salutati. è stato liuk a suggerirmi di intervistarla. “è sveglio il ragazzo”, mi ha detto “abbiamo solo opinioni diametralmente opposte su un po’ di cose, ma a parte questo ci stimiamo credo”.
virginia corre. corre tanto e bene. il suo punto di vista è interessante, leggetevelo. e un grazie ancora a liuk per avermi consigliato il suo punto di vista in questa rubrica.

TRALASCIANDO IL FATTO CHE TI SIA STATO CHIESTO, PERCHÉ HAI DECISO DI PARTECIPARE A QUESTA RUBRICA?

Ti conoscevo per sporadici contatti, uno o due amici in comune e perché seguo la tua pagina Instagram; avevo voglia di portare il mio punto di vista e supportare il tuo progetto perché penso abbia un valore.

QUALI SONO I PRINCIPALI PROBLEMI DELL’INDUSTRIA DELL’OUTDOOR, ORA COME ORA?

La gentrificazione, che fa si che attività come l’arrampicata, l’alpinismo, il trail running, un tempo considerate “povere” ed essenziali, richiedano sempre più risorse, attrezzatura e siano sempre meno accessibili. Non posso fare a meno di notare il paradosso del profitto che permea l’industria dell’outdoor, ovvero come quest’ultima abbia creato innanzitutto dei consumatori, facendo nascere nelle persone l’esigenza di comprare prodotti e attrezzatura ancor prima di approcciarsi agli spazi naturali e alla natura selvaggia, presumibilmente ancora non toccati dal capitalismo. Oggi l’outdoor culture è fondamentalmente una cultura commerciale. Non siamo ormai più in grado di andare in montagna, correre o arrampicare senza prima fare un giro da REI, Decathlon, Sportler o un qualsiasi altro outdoor store o online shop. 
C’è poi il problema dell’impatto ambientale dell’industria outdoor, e dei goffi tentativi di mascherare il greenwashing operato da diverse aziende. 

QUALI SONO INVECE LE PROBLEMATICHE PRINCIPALI CHE RISCONTRI, NEL TUO SETTORE, OGGIGIORNO?

L’eccessiva frammentazione del movimento, una narrativa molto incentrata sull’apparenza, sul racconto in chiave epica delle imprese sportive, molta confusione su cosa abbia effettivamente valore e cosa no dal punto di vista sportivo e culturale, lo sbilanciamento del mercato in favore dei brand, spesso a scapito delle persone che costituiscono l’anima del mio sport: atleti, appassionati, organizzatori, coach…
I media parlano principalmente di ciò che porta visualizzazioni e click per paura di perdere opportunità commerciali, e questo fa si che il racconto della realtà sia pesantemente filtrato attraverso la lente del business. 
Ci si aspetta che chi lavora in un’azienda outdoor abbia un minimo di cultura e passione per la cosa di cui si occupa, ma spesso non è così. Mi capita di interfacciarmi con persone che non sanno nulla montagna, di trail running, di come funzionano alcune dinamiche a livello sportivo, che trattano queste cose come se fossero un business qualsiasi - che ne so, di laminati plastici - senza capire che è fatto principalmente di persone e di natura, che probabilmente meriterebbero un’attenzione e un rispetto diversi.

QUALE È STATA LA COSA PIÙ STRANA CHE TI SIA STATA CHIESTA? A QUALI COMPROMESSI SEI DOVUTA SCENDERE?

In passato mi è capitata una collaborazione con un’azienda energetica, attiva nel settore delle rinnovabili ma non solo, che voleva usare la mia immagine per promuovere la sua sostenibilità ambientale e il suo essere green attraverso lo sport che pratico. A posteriori me ne vergogno un po’, ma all’epoca avevo pochissimi soldi e ancor meno opportunità, inoltre non ero molto consapevole di queste dinamiche di marketing. E’ andata a finire che abbiamo girato una serie di spot parlando di sostenibilità ambientale e comportamenti eco friendly come i peggiori green influencer di instagram, a fronte di un impegno personale abbastanza importante e un guadagno bassissimo. Ricordo di aver cercato di far leva sulla necessità di parlare di queste tematiche creando un minimo di consapevolezza e basandosi qualche dato, più che sugli eco-tips e su come riciclare i gambi dei broccoli, ma non aveva funzionato granché.

DI COSA HA BISOGNO UN PROFESSIONISTA, RELATIVAMENTE AL TUO SETTORE DI RIFERIMENTO, IN QUESTO PERIODO STORICO?

Dal punto di vista di un atleta professionista il principale fattore limitante per la performance e la partecipazione alle gare è la disponibilità di tempo (per allenarsi, recuperare da gare e allenamenti, viaggiare..). Per allenarsi e performare ad alto livello un atleta élite ha bisogno di soluzioni che gli consentano di dedicare sufficiente tempo alla sua attività sportiva. Il modo più semplice è attraverso un contratto con uno sponsor che gli consenta di togliere tempo al lavoro, inteso come attività extra corsa. A volte non è nemmeno necessario che l’atleta si dedichi alla sua attività full time, ci sono molti esempi di persone che si trovano bene lavorando part time o da remoto e allenandosi nel resto del tempo. Penso che la chiave stia nel trovare un buon equilibrio e sufficiente flessibilità tra lavoro e altri impegni.
Poi servono condizioni adeguate per allenarsi, programmazione, durabilità, cultura, capacità comunicative, risorse mentali, saper tirare fuori il buono che c'è nei momenti che contano, trovare sempre la strada per andare avanti, anche quando può sembrare irrazionale farlo. 

DI COSA HA BISOGNO LA MONTAGNA INVECE?

Di essere lasciata in pace, essenzialmente, e di essere raccontata per ciò che è. Si parla tanto di come valorizzare la montagna, di investire sul turismo, infrastrutture, su opere per attirare turisti e investimenti, dimenticandosi che i territori montani hanno un valore proprio e non necessiterebbero strutture per essere valorizzati. La natura è il loro valore. Mi sembra che spesso la montagna sia vista come luogo di svago per chi non ci abita, e come luogo da cui allontanarsi per chi in montagna ci vive. La montagna ha bisogno di servizi per queste persone, non di piste da bob, come chiedevano i ragazzi di Cortina. 

TI PIACEREBBE UN GIORNO RIVELARE AI LETTORI LA TUA IDENTITÀ E FARTI PORTAVOCE DI QUANTO HAI SCRITTO?

Non so se mi piacerebbe, ma non avrei un vero problema se questa alla fine di questa intervista tu rivelassi il mio nome. 

SAPRESTI DARE UNA POSSIBILE SOLUZIONE ALLE PROBLEMATICHE CHE HAI EVIDENZIATO?

Penso sia un problema sistemico, non credo che la soluzione debba essere cercata esclusivamente nel contesto dell’outdoor industry, degli sport outdoor, dei territori montani. Alla fine sarebbe presuntuoso e limitante pensare che il problema riguardi soltanto noi. Siamo uno specchio della società, nello stesso tempo, riflettendoci meglio, per alcuni aspetti siamo un po’ diversi. Non a tutti piace stare in montagna, fare sport e attività all’aperto. Penso che partire da un racconto della realtà più autentico e aderente al vero, misurare meglio gli aggettivi, ampliare le opportunità di educazione e cultura possa aiutare. Servirebbero maggiore onestà intellettuale, un abbassamento dei toni della comunicazione e soprattutto il disaccoppiamento di questo racconto dal business a tutti i costi. Vedi che sono problemi più ampi e non limitati al contesto di cui stiamo parlando?

COS’HA QUESTO MONDO, QUELLO OUTDOOR, DI DIVERSO DA TUTTO IL RESTO CHE TI CIRCONDA?

Riguarda qualcosa che per me è legato al fare fatica e alla natura, che come esseri umani ci coinvolge e ci accomuna. Non saprei definire esattamente che cosa, ma è quello che ci spinge a uscire a correre, ad aprire una via, a resistere ancora un metro. La sensazione che traggo da tutto questo non me la dà nessun’altra cosa.

C’È QUALCOS’ALTRO CHE CI TERRESTI PARTICOLARMENTE AD
AGGIUNGERE?

Non molto, al momento sono a Boulder e queste dinamiche accadono praticamente fuori dalla finestra della caffetteria in cui sono seduto. 

linea calda — il nostro “mondo fuori”, ma da dentro — ep.sei: ciano

linea calda è una rubrica di interviste anonime ad atleti e professionisti del mondo della montagna.
è uno spazio, questo, in cui vengono riportate le contraddizioni, le illusioni, i no-sense che un professionista è costretto ad affrontare oggigiorno nell’industria di mamma outdoor. il tutto senza tanti fronzoli.
ai partecipanti, per garantire loro la massima libertà d’espressione, è stato cambiato il nome; a qualcuno di loro anche il sesso. da qui il carattere anonimo del format.

ho deciso di iniziare questa rubrica perché il mondo della montagna ha preso una direzione che mi preoccupa e che credo sbagliata -o sicuramente migliorabile- per noi che la frequentiamo e, ovviamente, per la natura stessa. ci sono tanti miti da sfatare, comportamenti che richiedono una certa consapevolezza, retoriche superate. e tanto altro che non conosco ma che spero di venire a conoscere intervista dopo intervista.

lamento delle forti e ingiustificate frustrazioni verso qualsiasi pensiero o azione che non reputo, anche se in minimissima parte, indirizzate verso il bene comune, qualcosa di più grande. questo podcast non verbale ha l’unico e ambizioso scopo di far riflettere, e perché no, di migliorarci.

non mi capacito di non aver intervistato ciano prima di oggi.
ciano ed io ci conosciamo da un bel pò di tempo e se c’è una cosa che posso dire di lui è che ha le idee chiare. lui è “senza fronzoli”, come la rubrica, come qualsiasi persona di sostanza.
qualche giorno fa l’ho sentito al telefono. era stanco, anzi, aveva proprio i coglioni girati per dei motivi che non ha voluto svelarmi; roba di lavoro comunque.
ciano si definisce un “glisser”, che se ho capito bene erano i cosiddetti “scivolatori”, che per la prima volta si sono radunati nel 1981(o era 1980? 0 1984? una data certa non l’ho trovata - se qualcuno potesse aiutarmi) a chamonix in un festival dal nome “Nuit de la glisse” appunto.
gli sport di scivolamento, luciano, li ha praticati proprio tutti.
come succedeva ogni anno in questo festival itinerante, spero che le sue parole scivolino in maniera altrettanto liscia rispetto a quello che vi state apprestando a leggere. ecco, diciamo che proprio liscio, o leggero, proprio non ci è andato. io ve lo avevo detto: è un personaggio senza fronzoli.

TRALASCIANDO IL FATTO CHE TI SIA STATO CHIESTO, PERCHÉ HAI DECISO DI PARTECIPARE A QUESTA RUBRICA?

Perché oggi ho bisogno di sfogarmi.

QUALI SONO I PRINCIPALI PROBLEMI DELL’INDUSTRIA DELL’OUTDOOR, ORA COME ORA?

Il principale problema dell’industria outdoor sta proprio nel concetto di industria. La commercializzazione dell’attrezzatura per la montagna è in mano , non in assoluto, a persone che hanno come obbiettivo primario la produzione di profitto, budget, obbiettivi, fogli di calcolo, e la realizzazione di materiale che sia efficiente e utile all’utilizzatore finale. tutto questo diventa un obbiettivo subalterno al profitto. O meglio il profitto è in genere la linea guida nella realizzazione di un prodotto. Il risultato è la messa sul mercato di prodotti cosiddetti nuovi, dove l’unica novità è sono i colori o altri dettagli insignificanti.
Molte aziende hanno ormai sviluppato e potenziato il reparto marketing a discapito dell’R&D. Tutta la parte di ricerca e sviluppo ormai è in oriente, quindi le aziende sono ormai commerciali.
Ormai nelle aziende abbiamo manager che sono completamente avulsi al mondo outdoor. Il risultato è un impoverimento e omogeneizzazione di questo mercato. C’è poca sostanza e tante chiacchiere.

QUALI SONO INVECE LE PROBLEMATICHE PRINCIPALI CHE RISCONTRI, NEL TUO SETTORE, OGGIGIORNO?

La mancanza di una cultura outdoor nel personale interno alle aziende e la crescita del peso dei social (e di conseguenza degli influencer) hanno come conseguenza un impoverimento qualitativo della proposta (d’altra parte se non ho la capacità di scegliere il risultato non può essere altro che questo).
Inoltre la moda si sta interessando al mondo outdoor come nuova frontiera di business; questo porterà alla distruzione di questo mondo… perché gli inglesi dicevano non conta cosa fai ma come lo fai.
Ora contano le visualizzazioni… Lo stile è solo stile nel taglio dell’abbigliamento.

QUALE È STATA LA COSA PIÙ STRANA CHE TI SIA STATA CHIESTA? A QUALI COMPROMESSI SEI DOVUTA SCENDERE?

Di richieste assurde me ne hanno fatte tantissime e non vorrei fare degli esempi per una questione di privacy, ma credo che che rimango piuttosto sconvolto di fronte all’incoerenza palese di più di qualcuno. Per questo motivo credo che il vero alpinismo sia finito negli anni ‘70, quando è intervenuto il professionismo: è finita la poesia ed è subentrato il mero consumismo a discapito della montagna.

DI COSA HA BISOGNO UN PROFESSIONISTA, RELATIVAMENTE AL TUO SETTORE DI RIFERIMENTO, IN QUESTO PERIODO STORICO?

Il professionismo ha rovinato l’outdoor in generale. Il termine di Freeride, la Red Bull in epoca moderna, la sector no limits negli anni ‘80, la filosofia gopro… tutte cose che hanno portato più di qualcuno oltre il limite non solo della decenza, ma anche della sopravvivenza. Il professionismo porta soldi e i soldi portano guai. e comunque con il professionismo c’è il concreto pericolo che metti il denaro davanti alla saggezza.
Con l’avvento del professionismo devi fare la performance, devi stupire, devi creare un prodotto. Un prodotto capite? Il prodotto è il fine (o la fine?).
Per una brutta questione di militarismo alpino, Bonatti dormí fuori da una tenda sopravvivendo e creando il suo mito. Oggi per creare il mito bisogna esagerare senza averne motivo… D’altra parte oggi se non sei sulle piattaforme social non esisti.

DI COSA HA BISOGNO LA MONTAGNA INVECE?

La montagna avrebbe bisogno di più persone a vari livelli che educhino al rispetto; per la natura, per la montagna, per gli esseri viventi che vi abitano. Molti scambiano la montagna o l’ ecosistema in un lunapark. Questo è profondamente sbagliato.

TI PIACEREBBE UN GIORNO RIVELARE AI LETTORI LA TUA IDENTITÀ E FARTI PORTAVOCE DI QUANTO HAI SCRITTO?

Molto meglio che le parole non abbiano un volto. quanti sono i libri che leggiamo e di cui non conosciamo il volto dello scrittore? Le parole, se scritte, appartengono all’anima, forse.

SAPRESTI DARE UNA POSSIBILE SOLUZIONE ALLE PROBLEMATICHE CHE HAI EVIDENZIATO?

Bisogna rallentare, andare in un bosco, cercare il profumo del muschio a primavera e ascoltare il cinguettio degli uccelli. I 1000 metri di dislivello orari dequalificano il paradiso in cui siamo immersi.

COS’HA QUESTO MONDO, QUELLO OUTDOOR, DI DIVERSO DA TUTTO IL RESTO CHE TI CIRCONDA?

Ovviamente questo è un mondo di appassionati e la realtà è che c’è una vera comunità di amanti della vita all’aria aperta, che fanno sport, che cercano di vivere a contatto e con i ritmi della natura. Credo che sia questa la più grande differenza dal mondo che ci circonda, quello civile.
la filosofia outdoor ti porta ad essere più vicino al tuo istinto animale, più vicino alla natura.
Più naturalmente umano.

C’È QUALCOS’ALTRO CHE CI TERRESTI PARTICOLARMENTE AD
AGGIUNGERE?

Un caro saluto e un abbraccio a tutti 

linea calda — il nostro “mondo fuori”, ma da dentro — ep.cinque: victor

linea calda è una rubrica di interviste anonime ad atleti e professionisti del mondo della montagna.
è uno spazio, questo, in cui vengono riportate le contraddizioni, le illusioni, i no-sense che un professionista è costretto ad affrontare oggigiorno nell’industria di mamma outdoor. il tutto senza tanti fronzoli.
ai partecipanti, per garantire loro la massima libertà d’espressione, è stato cambiato il nome e il sesso; da qui il carattere anonimo del format.

ho deciso di iniziare questa rubrica perché il mondo della montagna ha preso una direzione che mi preoccupa e che credo sbagliata -o sicuramente migliorabile- per noi che la frequentiamo e, ovviamente, per la natura stessa.

lamento delle forti e ingiustificate frustrazioni verso qualsiasi pensiero o azione che non reputo, anche se in minimissima parte, indirizzate verso il bene comune, qualcosa di più grande. questo podcast non verbale ha l’unico e ambizioso scopo di far riflettere.

sono felice, davvero felice, che a questo episodio partecipi uno scalatore che ammiro molto. ci siamo visti solo una volta -per cinque minuti cinque anni fa- e, sfortunatamente, non abbiamo più avuto il modo di approfondire la nostra reciproca conoscenza. io, ma solo per adesso, mi accontento di questa intervista a distanza.
mi permetto di definirlo un solitario: viaggia da tutta la vita per scoprire e salire, in maniera molto intima, spesso da solo, nuove linee su bellissimi massi.
lui è, per me, il boulderista modello.
vi presento victor.

TRALASCIANDO IL FATTO CHE TI SIA STATO CHIESTO, PERCHÉ HAI DECISO DI PARTECIPARE A QUESTA RUBRICA?

Ho letto le altre interviste del format, mi sono piaciute e mi hanno fatto riflettere. Leggere e scrivere riguardo tali argomenti può essere d’aiuto per tutti; sia per chi intervista, sia per chi risponde e sia per chi leggerà. Perciò mi è sembrato un ottimo progetto a cui partecipare.

QUALI SONO I PRINCIPALI PROBLEMI DELL’INDUSTRIA DELL’OUTDOOR, ORA COME ORA?

Beh, non credo di essere in una posizione adeguata per saper dire quali possono essere i problemi dell’industria outdoor, oltre a non avere alcuna competenza in merito. C’è sicuramente tanta scelta offerta dalle aziende che provano a rispondere alle esigenze degli appassionati, i quali sono incrementati parecchio negli ultimi anni. Questo ha senz’altro dei risvolti sia positivi che negativi.

QUALI SONO INVECE LE PROBLEMATICHE PRINCIPALI CHE RISCONTRI, NEL TUO SETTORE, OGGIGIORNO?

Una delle differenze che si iniziano a riscontrare rispetto ad alcuni paesi è la mancanza di manager per gli atleti, una figura ancora piuttosto assente in Italia. Avere un professionista competente in grado di proporre gli atleti ad un brand con i giusti mezzi, evidenziando i corretti valori e con le capacità di saper negoziare un compenso adeguato credo sia un aspetto fondamentale per i professionisti o aspiranti tali.

QUALE È STATA LA COSA PIÙ STRANA CHE TI SIA STATA CHIESTA? A QUALI COMPROMESSI SEI DOVUTA SCENDERE?

Una volta, in una relazione che era consolidata da parecchio tempo, mi chiesero di cambiare alcune condizioni riguardo le quali eravamo già d’accordo a livello verbale. Per fortuna abbiamo trovato una soluzione che non compromettesse troppo né una parte né l’altra. Si cerca sempre di mettere le cose in chiaro il più possibile, evidenziando ciò che si può dare, fare ed offrire ma anche ciò che invece, per qualunque motivo, sia esso personale, etico o fisico, non è possibile compiere. Penso che più un rapporto è chiaro e più si ha modo di sviscerare questi temi prima di iniziare una relazione, meno si dovrebbe incorrere in compromessi poco piacevoli e controproducenti per entrambi i lati.

DI COSA HA BISOGNO UN PROFESSIONISTA, RELATIVAMENTE AL TUO SETTORE DI RIFERIMENTO, IN QUESTO PERIODO STORICO?

Paradossalmente, la cosa di cui sento più la mancanza in questa fase sono le sale d’arrampicata. Non esistono più realtà in cui crescere, imparare, confrontarsi e scalare attivamente. Questi luoghi sono diventati piuttosto asettici e accontentano, evidentemente per interessi più che giustificati, la domanda di chi approccia la scalata per sentito dire e non per una vera scoperta personale. Nulla di male in ciò, ovviamente; diventa però un approccio negativo quando si sacrificano totalmente le esigenze di chi scala da vent’anni e che non sa più dove andare per provare a soddisfare tali bisogni. Da una parte questo mi rende consapevole della fortuna che ho avuto nel poter crescere nelle sale che ci sono state fino al 2019; dall’altra, è impossibile non rattristarsi per l’attuale realtà. Anche se questo cambiamento riguarda l’indoor, vi è comunque un collegamento con l’attività all’aperto, siccome nei centri in cui ho potuto iniziare, e crescere, lo scalatore poteva essere più attivo e anche un po’ più consapevole dei propri limiti, cosa molto importante che si ritrova una volta usciti dalla palestra. Erano luoghi che potevano avere, almeno in parte, la loro funzione “formativa” in quanto offrivano meno soluzioni e più stimoli. Visto che la maggior parte di chi scala in ambiente outdoor passa prima dai muri artificiali, sono tappe che, a mio avviso, sarebbe importante mantenere.

DI COSA HA BISOGNO LA MONTAGNA INVECE?

Sono sempre domande un po’ difficili queste e, in un modo o nell’altro, riflettono parte del nostro egocentrismo. La montagna esiste a prescindere da noi e non dovremmo metterci all’altezza di cose ben più forti, più potenti e con una capacità di adattamento che noi nemmeno immaginiamo possibile. Con questo non voglio dire di non prendersi cura delle sue superfici, ma credo che una semplice educazione ambientale possa aiutare ad evitare comportamenti poco simpatici da parte di chi la frequenta. Dico semplice, ma sarebbe un lavoro pedagogico da affrontare e che quindi avrebbe effetti solo nell’arco delle generazioni.

TI PIACEREBBE UN GIORNO RIVELARE AI LETTORI LA TUA IDENTITÀ E FARTI PORTAVOCE DI QUANTO HAI SCRITTO?

Si. Anche se il format con lo pseudonimo lo trovo originale.

SAPRESTI DARE UNA POSSIBILE SOLUZIONE ALLE PROBLEMATICHE CHE HAI EVIDENZIATO?

In merito alle sale. Mi piacerebbe si guardasse all’estremo oriente perché lì pare funzionare. Forse anche per via di una cultura diversa. Però non basta il cosiddetto ‘muro giapponese’ di 2 metri * 2 in cui isolare i nostalgici. Già solo poco più a nord, in Inghilterra, esistono ancora sale che mantengono un servizio decente con una varietà di opzioni piuttosto ampia, stili molto eterogenei sia per appassionati dell’outdoor che per professionisti o atleti agonisti. Visti gli investimenti che occorrono per aprire centri giganteschi, sarebbe bello vedere almeno metà della sala offrire delle possibilità come quelle accennate nella domanda 5.

COS’HA QUESTO MONDO, QUELLO OUTDOOR, DI DIVERSO DA TUTTO IL RESTO CHE TI CIRCONDA?

E’ un mondo, parlo di quello della scalata, che offre a tutti una maniera per esprimersi e conoscersi. Oltre che una dimensione staccata da tutto il resto. L’arrampicata per me ha sempre espresso una nicchia in cui isolarmi e trovare la mia realtà, astratta o concreta che sia; un luogo speciale che non ho mai trovavo altrove. Credo che la fisicità, la scienza degli allenamenti, la preparazione e il talento siano semplicemente dei meri mezzi per un fine espressivo per me più nobile che caratterizza questa disciplina da sempre.

C’È QUALCOS’ALTRO CHE CI TERRESTI PARTICOLARMENTE AD
AGGIUNGERE?

Aggiungerei altre iniziative come queste che facciano sedere i climbers di fronte ad un foglio con delle domande su cui riflettere in compagnia di una tazza di tè e null’altro.

linea calda — il nostro “mondo fuori”, ma da dentro — ep.quattro: dri

linea calda è una rubrica di interviste anonime ad atleti e professionisti del mondo della montagna.
è uno spazio, questo, in cui vengono riportate le contraddizioni, le illusioni, i no-sense che un professionista è costretto ad affrontare oggigiorno nell’industria di mamma outdoor. il tutto senza tanti fronzoli.
ai partecipanti, per garantire loro la massima libertà d’espressione, è stato cambiato il nome e il sesso; da qui il carattere anonimo del format.

ho deciso di iniziare questa rubrica perché il mondo della montagna ha preso una direzione che mi preoccupa e che credo sbagliata -o sicuramente migliorabile- per noi che la frequentiamo e, ovviamente, per la natura stessa.

lamento delle forti e ingiustificate frustrazioni verso qualsiasi pensiero o azione che non reputo, anche se in minimissima parte, indirizzate verso il bene comune, qualcosa di più grande. questo podcast non verbale ha l’unico e ambizioso scopo di far riflettere.

questo quarto episodio ha come protagonista una persona che stimo molto. si tratta di dri (nota: ha scelto di chiamarsi dri, perché dri è la femmina della yak; lo sapevate?). dri ha deciso nell’ultimo hanno di trasferirsi in montagna per fare la rifugista. e non solo. dri ha deciso di essere rifugista non solo per “dare rifugio” ai suoi ospiti, ma per dare loro l’opportunità di vivere il rifugio per imparare la cultura della montagna.

TRALASCIANDO IL FATTO CHE TI SIA STATO CHIESTO, PERCHÉ HAI DECISO DI PARTECIPARE A QUESTA RUBRICA?

Egoisticamente, perché dopo questa stagione molto stressante mi volevo sfogare hahaha. No a parte gli scherzi, ma sempre un po’ egoisticamente, rispondere a queste domande nero su bianco, su temi che mi sono frullati in testa per tutta la stagione, mi aiuta a decantare i pensieri e dargli forma. In secondo luogo perché penso che sia un bel modo non solo per confrontarsi tra “insider” ma soprattutto per condividere riflessioni anche con chi non si sente direttamente coinvolto nel mondo outdoor. Se le cose non si dicono, non possiamo aspettarci che gli altri le capiscano da soli.

QUALI SONO I PRINCIPALI PROBLEMI DELL’INDUSTRIA DELL’OUTDOOR, ORA COME ORA?

Sicuramente condivido appieno le risposte di Lara, Giasone e Liuk. Una massiva creazione di offerta. La generale mercificazione. Per me l’overtourism e in generale il troppo che stroppia.
Mi sono chiesta però qual è il motivo di fondo di questi fenomeni e, per rimanere su un piano personale per ognuno di noi senza parlare di filosofie di brand, economia dei territori e tecnicismi vari, penso che i problemi principali siano si le grandi e sterminate offerte sul mondo outdoor e la vastità di tipologie di pubblico alle quali sono rivolte, ma fondamentalmente è la pigrizia dell’essere umano -e un pizzico di egoismo, ma in fondo spesso si è egoisti per pigrizia-.
Costa fatica pensare a un modello di sviluppo sostenibile che lo sia per tutti (perché a parer mio se non è per tutti non lo è per nessuno) allargando il raggio di pensiero ma rimanendo legati al territorio senza strafare. 
Esempio a me molto vicino: facile per un’agenzia o un’azienda del turismo promuovere un percorso in alta quota già conosciuto e famoso a livello mondiale, così sei sicuro di lavorare su qualcosa che ti dà dei risultati rapidi, senza tenere conto che l’offerta reale è satura e si sta snaturando proprio a causa di questo sovraffollamento che comunque si continua a promuovere, mentre spostandosi sull’altro versante della valle ci sono le stesse figure professionali e importanti punti di presidio del territorio che faticano a chiudere i conti. Diciamo pigrizia…

QUALI SONO INVECE LE PROBLEMATICHE PRINCIPALI CHE RISCONTRI, NEL TUO SETTORE, OGGIGIORNO?

Come scrivevo, l’eccesso di turismo, indubbiamente, che sta snaturando il nostro lavoro. C’è un grande fraintendimento sulla natura del nostro servizio, scrivi “rifugio” e leggono “ristorante” o “albergo”. La montagna non come ambiente a tutto tondo che da delle specifiche a mansioni apparentemente semplici (dare da mangiare alle persone che vanno in montagna) ma troppo spesso montagna come location per una bella mangiata. Il risultato spesso è una delusione dell’ospite, che si aspettava servizi diversi, e la frustrazione per il gestore e lo staff di aver lavorato al meglio delle proprie possibilità e non aver fatto comprendere la bellezza del proprio luogo.
E questo succede tanto più spesso quando la quantità di ospiti non ti lascia il tempo di dedicarti all’accoglienza che ognuno di loro si merita, dall’alpinista esperto che magari ha bisogno di notizie sulla condizione delle vie, al neofita che si approccia alla montagna per la prima volta e non la conosce. Noi siamo qui anche e soprattutto per lui, ma adesso non riusciamo sempre a dedicarci.

QUALE È STATA LA COSA PIÙ STRANA CHE TI SIA STATA CHIESTA? A QUALI COMPROMESSI SEI DOVUTA SCENDERE?

Hahahahaha mi è stato proposto di scrivere un libro, con le risposte alla prima domanda, ma la verità è che resetto tutto a fine giornata altrimenti a fine stagione mi tocca la riabilitazione psichiatrica.
Purtroppo le uniche cose assurde che mi rimangono davvero impresse sono le conversazioni a vicolo cieco, con ospiti che non solo non conoscono la realtà del rifugio e quindi le possibilità del nostro servizio, ma che non vogliono comprenderla.
Potrei citarti ospiti che rispondono alla carenza di acqua calda e quindi della possibilità di doccia calda con commenti passivo aggressivi tipo “beh benvenuti nel 2023..!” oppure chi, dopo una chiacchierata sull’onda di “eh non nevica più come una volta, eh che disastro lo scioglimento dei ghiacciai” pretende una bibita fresca da frigo con ghiaccio e limone a 2000 mt. perché “io pago quindi pretendo!”, senza rendersi conto del paradosso.
Il primo compromesso è sicuramente sul mio lavoro in generale: se i racconti dei miei colleghi sui bei tempi andati erano di frequentazioni di alpinisti o comunque persone esperte, e quindi il nostro ruolo era principalmente quello di presidiare un territorio tanto meraviglioso quanto difficile, e di essere “rifugio” per chi esplorava la montagna, oggi mi trovo più spesso a accogliere ospiti che vengono solo per mangiare in rifugio, non per vivere la montagna.

DI COSA HA BISOGNO UN PROFESSIONISTA, RELATIVAMENTE AL TUO SETTORE DI RIFERIMENTO, IN QUESTO PERIODO STORICO?

Di collaborazione, fare rete, e già stiamo lavorando molto in questo senso, ma si può fare di meglio.
Di una classe politica illuminata (anche solo a livello locale eh), che sostenga le iniziative e incentivi la destagionalizzazione, i servizi pubblici, la collaborazione tra le varie realtà.
Di pazienza, perché lavorare con le persone significa che non sempre saremo noi a vedere i risultati del nostro lavoro.

DI COSA HA BISOGNO LA MONTAGNA INVECE?

Fiuh… direi della nostra onestà.
Vogliamo andare in rifugio per farci una mangiata a quattro palmenti? Allora diciamocelo e siamo onesti: non ci piace andare in montagna, ci piace mangiare comodi con le gambe sotto al tavolo in un gran bel posto. Non c’è (forse) niente di male, però diciamocelo.
Ci piace la montagna per la montagna o ci piace come location? 

TI PIACEREBBE UN GIORNO RIVELARE AI LETTORI LA TUA IDENTITÀ E FARTI PORTAVOCE DI QUANTO HAI SCRITTO?

Si certo, questi sono i miei pensieri e non ho nessun timore, anzi sarei contenta di parlarne.

SAPRESTI DARE UNA POSSIBILE SOLUZIONE ALLE PROBLEMATICHE CHE HAI EVIDENZIATO?

Non so se chiamarla soluzione perché non è un’azione definitiva e circoscritta ma piuttosto un approccio: investire nelle persone. Dedicare tempo e avere fiducia, lavorare con approccio educativo -non accontentare ma far comprendere.
Fare rete e non ostruzionismo.
Quando è necessario, avere coraggio e esporsi.

COS’HA QUESTO MONDO, QUELLO OUTDOOR, DI DIVERSO DA TUTTO IL RESTO CHE TI CIRCONDA?

Non moltissimo direi, forse una patina un po’ idealizzata..? Sicuramente direi possibilità diverse.

C’È QUALCOS’ALTRO CHE CI TERRESTI PARTICOLARMENTE AD
AGGIUNGERE?

Che a prescindere dagli sfoghi e dai racconti tragicomici, c’è una grande voglia e spinta a fare meglio e fare bene, perché dove le cose importanti non funzionano bisogna metterci le mani in prima persona, e farlo insieme. 


linea calda — il nostro “mondo fuori”, ma da dentro — ep.tre: lara

linea calda è una rubrica di interviste anonime ad atleti e professionisti del mondo della montagna.
è uno spazio, questo, in cui vengono riportate le contraddizioni, le illusioni, i no-sense che un professionista è costretto ad affrontare oggigiorno nell’industria di mamma outdoor. il tutto senza tanti fronzoli.
ai partecipanti, per garantire loro la massima libertà d’espressione, è stato cambiato il nome e il sesso; da qui il carattere anonimo del format.

ho deciso di iniziare questa rubrica perché il mondo della montagna ha preso una direzione che mi preoccupa e che credo sbagliata -o sicuramente migliorabile- per noi che la frequentiamo e, ovviamente, per la natura stessa.

lamento delle forti e ingiustificate frustrazioni verso qualsiasi pensiero o azione che non reputo, anche se in minimissima parte, indirizzate verso il bene comune, qualcosa di più grande. questo podcast non verbale ha l’unico e ambizioso scopo di far riflettere.

nel terzo episodio ho il piacere di presentarvi lara.
lara è alpinista e guida alpina.

TRALASCIANDO IL FATTO CHE TI SIA STATO CHIESTO, PERCHÉ HAI DECISO DI PARTECIPARE A QUESTA RUBRICA?

Perché credo fermamente che le iniziative che hai sono brillanti. sei una persona che stimo perciò mi sono resa volentieri disponibile a quest’intervista.

QUALI SONO I PRINCIPALI PROBLEMI DELL’INDUSTRIA DELL’OUTDOOR, ORA COME ORA?

Ed ecco la domanda dolente!
hai toccato un tema a cui tengo molto.
l’industria outdoor negli ultimi anni è letteralmente esplosa e ha messo sul mercato veramente tanti prodotti con cui soddisfare la domanda dei suoi vecchi e nuovi praticanti nelle rispettive discipline. ora c’è veramente TANTA (forse troppa?) scelta e, di conseguenza, tanta concorrenza. Si cerca di vendere il prodotto, di renderlo visibile. qui entrano in gioco le svariate strategie di marketing (sponsorizzazioni, “influencering”, spot pubblicitari - tanto per nominarne alcune) che a parer mio creano tanto spreco. e se creiamo una domanda è necessario creare una risposta. ma in un sistema tanto complesso, a crescita e spreco esponenziale, il cane che si morde la coda è un maremmano bello grosso. non è più sostenibile. Le aziende dovrebbero promuovere e applicare valori che servano a salvaguardare il nostro mondo (es. invece di avere 20 modelli di scarpette produrne solo 10 sarebbe sufficiente, no?). abbiamo già tutte le risposte. serve agire.

QUALI SONO INVECE LE PROBLEMATICHE PRINCIPALI CHE RISCONTRI, NEL TUO SETTORE, OGGIGIORNO?

c’è veramente troppo: troppi brand, troppi modelli , troppi materiali, troppa varietà… questo mette in crisi sia chi compra sia chi vende (ormai non si sa più nemmeno cosa tenere in negozio!). penso ci sia veramente tanto spreco!
In riferimento invece alla mia attività di atleta e guida alpina, posso dire che vedo sempre più persone che vogliono andare in montagna per farsi vedere dagli altri piuttosto che per passione o amore della montagna stessa. e Questo mi rattrista perché (per chi come me vuole accompagnare le persone per trasmettere la propria passione) non è possibile farlo con chi non è interessato a nient’altro che un selfie in vetta per farsi figo su Instagram. Potremmo dire che è morto il romanticismo che spingeva le persone a scoprire la montagna? sicuro è che quel romanticismo è sempre più raro.

QUALE È STATA LA COSA PIÙ STRANA CHE TI SIA STATA CHIESTA? A QUALI COMPROMESSI SEI DOVUTA SCENDERE?

si tratta di una richiesta veramente assurda di cui non però non posso rivelare i dettagli. mi è stato chiesto di scalare una montagna per l’onore e per la gloria che avrei ricevuto al mio rientro (Un’assurdità!!). Non sono mai andata in montagna per riceverne riconoscimento e non lo farò mai. Un conto è avere supporto esterno (dalle aziende per esempio) per realizzare delle spedizioni e dover dare qualcosa in cambio, ma ben altra cosa è interfacciarsi con qualcuno che ti chiede sfacciatamente: “vuoi diventare famoso? Allora devi salire quella montagna lì”. Non importa più lo stile, i valori, l’etica, le persone con cui condividi l’esperienza, i tempi stessi dell’esperienza, NO. ad oggi è più importante la cima e la strategia di comunicazione da legare alla salita in modo tale da creare l’hype, l’intrattenimento, il traffico in rete. ognuno fa poi i suoi conti e i suoi compromessi.

DI COSA HA BISOGNO UN PROFESSIONISTA, RELATIVAMENTE AL TUO SETTORE DI RIFERIMENTO, IN QUESTO PERIODO STORICO?

di sentirsi identificato e valorizzato dal brand di cui è testimone solamente per quello che fa, di sentirsi supportato nei progetti qualora questi fossero validi. ad oggi sembra impossibile dare visibilità agli atleti senza snaturarli. è sempre più facile invece creare collaborazioni con gli influencer, perché sono più disponibili a creare contenuti (che è ben diverso da andare in spedizione per nuove salite o accompagnare clienti in montagna, tra loro anche influencer ahah) e con più seguito in termini di follower rispetto a un atleta medio.
è scontato che Così facendo si rischia di snaturare gli atleti (sia quelli affermanti che gli emergenti - inquinando la natura delle loro performance) e di non riconoscere più cosa ha valore e cosa no. infine, per essere drastici, di cancellare la cultura della montagna.

DI COSA HA BISOGNO LA MONTAGNA INVECE?

di persone che la vivano e allo stesso tempo la temano, al fine di preservarne la natura.

TI PIACEREBBE UN GIORNO RIVELARE AI LETTORI LA TUA IDENTITÀ E FARTI PORTAVOCE DI QUANTO HAI SCRITTO?

Certamente, non ho paura di dire quello che penso! credo che dovremmo tutti identificarci in alcuni valori ed esprimerli, positivi o negativi che siano. sono aperta al confronto.

SAPRESTI DARE UNA POSSIBILE SOLUZIONE ALLE PROBLEMATICHE CHE HAI EVIDENZIATO?

Sinceramente no. So cosa posso fare io, nel mio piccolo, ma non mi sento di dire quello che le persone dovrebbero fare. conosco bene il mio cammino e i mezzi con cui intraprenderlo.

COS’HA QUESTO MONDO, QUELLO OUTDOOR, DI DIVERSO DA TUTTO IL RESTO CHE TI CIRCONDA?

non ci sono regole stabilite, ma è (o era, chi lo sa?) governato dall’etica e dal buon senso.

C’È QUALCOS’ALTRO CHE CI TERRESTI PARTICOLARMENTE AD
AGGIUNGERE?

dovremmo farci domande più spesso, leggere di più, informarci, capire meglio il sistema e capire cosa possiamo fare per migliorarlo, non solo essere critici e distruttivi. serve curiosità, consapevolezza e umanità.


linea calda — il nostro “mondo fuori”, ma da dentro — ep.due: giasone

linea calda è una rubrica di interviste anonime ad atleti e professionisti del mondo della montagna.
è uno spazio, questo, in cui vengono riportate le contraddizioni, le illusioni, i no-sense che un professionista è costretto ad affrontare oggigiorno nell’industria di mamma outdoor. il tutto senza tanti fronzoli.
ai partecipanti, per garantire loro la massima libertà d’espressione, è stato cambiato il nome e il sesso; da qui il carattere anonimo del format.

ho deciso di iniziare questa rubrica perché il mondo della montagna ha preso una direzione che mi preoccupa e che credo sbagliata -sicuramente migliorabile- per noi che la frequentiamo e, ovviamente, per la natura stessa.

lamento delle forti e ingiustificate frustrazioni verso qualsiasi pensiero o azione che non reputo, anche se in minimissima parte, indirizzate verso il bene comune, qualcosa di più grande. questo podcast non verbale ha l’unico e ambizioso scopo di far riflettere.

nel secondo episodio ho il piacere di presentarvi giasone.
giasone viene dal mondo del running. è runner e allenatore.

TRALASCIANDO IL FATTO CHE TI SIA STATO CHIESTO, PERCHÉ HAI DECISO DI PARTECIPARE A QUESTA RUBRICA?

Perché per formazione sono stato abituato a pensare che chi lavora deve provare a far sentire la propria voce. E nel tempo ho capito che è altrettanto importante ascoltarsi. Mi è sembrata un'ottima occasione per capire se le mie necessità sono le stesse degli altri professionisti dell'outdoor.

QUALI SONO I PRINCIPALI PROBLEMI DELL’INDUSTRIA DELL’OUTDOOR, ORA COME ORA?

Sicuramente, a tutti i livelli, il paradosso del problema ambientale. Ci troviamo a creare una "domanda" che sappiamo bene non sia sostenibile eppure tutti (aziende, atleti e professionisti) lavoriamo nella direzione di aumentare i consumi di beni inquinanti o di servizi non compatibili. Capisco che è un paradosso comune a tutta la civiltà moderna, ma noi ci vendiamo anche per essere "attenti". E poi, forse, essere prigioniera di un'estetica dell'"impossibile" che non è più "inutile", ma è diventato "essenziale" per affermarsi. E'un po' fare finta che tutti possono tutto, e sapere di vendere una parte di sogno per rendere tutti protagonisti di qualcosa.

QUALI SONO INVECE LE PROBLEMATICHE PRINCIPALI CHE RISCONTRI, NEL TUO SETTORE, OGGIGIORNO?

La mancanza di una "cultura" di quello che si fa: la facilità di reperire informazioni, che si danno per buone anche se non abbiamo gli strumenti per valutarle e validare le scelte, ha cancellato la ricerca, il processo di scoperta, l'emozione della prima volta, la sana abitudine a darci una facciata. Io utente so esattamente cosa voglio, e devo arrivarci, incurante del processo: dall'altra parte il mio compito di professionista dell'outdoor potrebbe essere anche solo di portare la gente in quel luogo reale o virtuale e dargli una foto da postare. Il Moloch del risultato a tutti i costi: vado a correre/arrampicare/sciare/camminare nello stesso modo in cui in ufficio mi dicono che fa strada solo chi non fa prigionieri. E chi resta indietro può essere dimenticato.
Dal punto di vista pratico, invece, è la difficoltà a far capire la mia professionalità e il suo valore dal punto di vista meramente economico: ma forse fa parte della mancanza di "cultura" di qui sopra... aka "Beato te che ti diverti". In ultimo, ma anche questo è legato a quello scritto qui sopra e ancora sopra, la concorrenza sleale di chi non è un professionista e si nasconde dietro al dito, non fa formazione, non investe denaro, non rischia niente tanto gli arriva comunque lo stipendio dell'altro lavoro a fine mese. Per quelli si che è davvero un "divertimento" o poco più. Vengono, fanno rumore e poi scompaiono in silenzio, perché sopravvive solo chi sa che per tirare fuori lo stipendio deve creare qualità 24/7. Ma nel mentre rompono i coglioni e non costruiscono niente.

QUALE È STATA LA COSA PIÙ STRANA CHE TI SIA STATA CHIESTA? A QUALI COMPROMESSI SEI DOVUTO SCENDERE?

Non credo mi sia mai stato chiesto niente di così assurdo, si vede che incuto timore o comunico bene cosa faccio. Compromessi? Quotidiani. Il più grosso è dover avere una dimensione pubblica con cui le persone possono identificarsi. Ma mi permette di campare e di cercare di creare quella "cultura" nell'ambito di uno sport che è comunque ancora la mia più grande passione. E poi, se sali sulla giostra, sai bene che devi adattarti alle regole del gioco, inutile lamentarsi dopo.

DI COSA HA BISOGNO UN PROFESSIONISTA, RELATIVAMENTE AL TUO SETTORE DI RIFERIMENTO, IN QUESTO PERIODO STORICO?

Di opportunità per confrontarsi con altri professionisti. Di crescere "insieme". E di potersi ritagliare degli spazi per crescere, con la formazione e la ricerca.
Nella mia posizione specifica, sarebbe bello un supporto che fosse slegato dalle logiche classiche della "visibilità" e che facesse più attenzione ai contenuti, ma mi rendo conto che le aziende sanno fare bene i loro calcoli e che anche loro spesso sono nella nostra stessa posizione: devono reinventarsi una "brand identity" a stagione invece di poter raccontare davvero chi sono, cosa fanno e perché lo fanno.

DI COSA HA BISOGNO LA MONTAGNA INVECE?

D'istinto viene la risposta facile, e cioè di essere lasciata in pace. Ma sono frasi a effetto che non dicono niente e ci sono già abbastanza cialtroni nel nostro mondo. La realtà è quella che la sopravvivenza economica di chi in montagna vive ed opera deve essere l'obbiettivo reale, e va raggiunto coniugando le necessità di chi la vive, inteso sia come lavoratore che come utente, con il massimo livello possibile di sostenibilità.
Contrariamente a tanti utopisti, io dico che la montagna ha bisogno di spazi per essere vissuta da tutti, di infrastrutture accessibili e che avvicinino la gente alla montagna. Ma che allo stesso modo ha bisogno di posti che siano per pochi. O forse anche per nessuno. Forse dobbiamo dimenticare una certa retorica altezzosa e il tutti contro tutti: accettare che la montagna sia anche una risorsa economica importante, ma che va utilizzata con lungimiranza e senza elitarismi.

TI PIACEREBBE UN GIORNO RIVELARE AI LETTORI LA TUA IDENTITÀ E FARTI PORTAVOCE DI QUANTO HAI SCRITTO?

Si, senza problemi.

SAPRESTI DARE UNA POSSIBILE SOLUZIONE ALLE PROBLEMATICHE CHE HAI EVIDENZIATO?

No, se non quella del costruire, accettando anche i piccoli passi: "casa per casa, strada per strada" diceva uno saggio. Lo stesso che diceva che "ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno".

COS’HA QUESTO MONDO, QUELLO OUTDOOR, DI DIVERSO DA TUTTO IL RESTO CHE TI CIRCONDA?

Niente, è un riflesso della società in cui viviamo perché prima che atleti, professionisti o adetti ai lavori siamo persone e quindi riportiamo nel mondo outdoor quello che siamo nella società in generale. Non l'ho mai visto come un insieme di illuminati, salire in cima ad una montagna non fa di nessuno una persona migliore. Poi, all'interno del mondo outdoor si conoscono persone di spessore. Ma anche al bar, al supermercato, alla partita o in coda alla Posta.

C’È QUALCOS’ALTRO CHE CI TERRESTI PARTICOLARMENTE AD
AGGIUNGERE?

No.


LINEA CALDA — il nostro “mondo fuori”, ma da dentro — ep.uno: LIUK

linea calda è una rubrica di interviste anonime ad atleti e professionisti del mondo della montagna.
è uno spazio, questo, in cui vengono riportate le contraddizioni, le illusioni, i no-sense che un professionista è costretto ad affrontare oggigiorno nell’industria di mamma outdoor. il tutto senza tanti fronzoli.
ai partecipanti, per garantire loro la massima libertà d’espressione, è stato cambiato il nome e il sesso; da qui il carattere anonimo del format.

ho deciso di iniziare questa rubrica perché il mondo della montagna ha preso una direzione che mi preoccupa e che credo sbagliata -sicuramente migliorabile- per noi che la frequentiamo e, ovviamente, per la natura stessa.

lamento delle forti e ingiustificate frustrazioni verso qualsiasi pensiero o azione che non reputo, anche se in minimissima parte, indirizzate verso il bene comune, qualcosa di più grande. questo podcast non verbale ha l’unico e ambizioso scopo di far riflettere.

In questo primo episodio troviamo un mio caro amico che chiameremo Liuk, come il gelato che piaceva tanto a mio papà. Anticipo solamente il ruolo di Liuk nel mondo dell’outdoor.
Liuk è uno scrittore.

Tralasciando il fatto che ti sia stato chiesto, perché hai deciso di partecipare a questa rubrica?

Sarò retorico, ma penso che il mondo outdoor sia abbastanza giovane e naif da cambiare con relativa facilità. Pensare che un’intervista possa fare la differenza forse è un po’ esagerato, ma in generale sono ottimista nel potere delle persone, almeno in questo particolare frangente. Non stiamo parlando di risolvere il problema della pace nel mondo. Progetti come questo aiutano.

Quali sono i principali problemi dell’industria dell’outdoor, ora come ora?

Ouf, rischiamo di stare qui ore. Ce ne sono tanti e non sono necessariamente collegati. Il problema principale è che il mondo outdoor è totalmente in mano alle aziende: sponsorizzazioni, editoria, film, eventi, atleti, festival, gare. Il secondo problema è che il 90 per cento di chi lavora in queste aziende non va in montagna; non solo non fa sport ma non ha nemmeno mai passato una notte in bivacco. Stiamo parlando di persone che hanno il potere di scegliere come spendere milioni di euro di budget per il marketing, e non conoscono minimamente l’ambiente in cui lavorano, in molti casi non ne sono nemmeno incuriosite. Va da sé che lavorare con queste persone e proporre progetti è molto difficile. Le scelte vengono fatte non sulla base del merito dei progetti, ma su criteri più oggettivi come la visibilità di un progetto in termini di Instagram impression, che è chiaramente un dato falsato e non convertibile nel mondo reale, ma è anche l’unica cosa che una persona ignorante (ignorante dall’etimo, senza offesa) può comprendere.

Quali sono invece le problematiche principali per un atleta professionista in questo settore oggigiorno?

Non sono un atleta professionista, ma ne conosco e frequento alcuni, per cui la mia risposta sarà una via di mezzo tra quello che mi raccontano loro e quello che vedo io. In generale mi sembra che si faccia volontariamente poca distinzione tra atleti e influencer: agli atleti viene richiesta visibilità e presenza social, anche quando gli esce poco spontanea e goffa; gli influencer, d’altronde, hanno in molti casi un livello piuttosto basso, non hanno nulla da dire e in molti casi sviliscono il lavoro altrui, e spesso senza essere nemmeno pagati. Alle aziende questa confusione fa solo bene, soprattutto alle più piccole, perché gli costa poco e spacciano risultati mediocri come grandi imprese. In generale c’è poca meritocrazia, e gli atleti pagano il costo di questo sistema.

Quale è stata la cosa più strana che ti SIA stata chiesta?

Che mi è stato chiesto di fare? Non mi viene in mente nulla di divertente anche se ti vedo sorridere mentre scrivi la domanda. La più frequente (vedete voi se considerarla strana) è lavorare gratis. Sembra che si aspettino tutti grandi favori, ma non sono quasi mai disposti a darti qualcosa in cambio, se non il materiale. La colpa naturalmente è di chi accetta una giacca in Gore-Tex come forma di pagamento, e a me purtroppo non accettano ancora le scarpe per pagare le bollette.

Di cosa ha bisogno un atleta professionista in questo periodo storico?

Ancora, non sono un atleta professionista, ma oggi come sempre, credo, le cose principali probabilmente sono il tempo e libertà mentale da dedicare all’allenamento — oltre a poter scegliere in autonomia i propri obiettivi. Ma d’altronde è quello di cui avremmo bisogno tutti, creativi, intellettuali, sportivi, e purtroppo nessuno ti paga ancora per fare quello che vuoi, qualunque sia il tuo mestiere.

Di cosa ha bisogno la montagna invece?

Di più semplicità. Lavorando nell’industria outdoor tendiamo a confondere il nostro mestiere con “la montagna”, e confondiamo l’importanza che ha per noi con l’importanza assoluta: in realtà sono cose molto diverse e spesso c’entrano poco l’una con l’altra.

Ti piacerebbe un giorno rivelare ai lettori la tua identità e farti portavoce di quanto hai scritto?

Lo farei anche subito, se non fosse che l’anonimato è il format dell’intervista ed è interessante che sia così. Ma vorrei aggiungere un’ultima cosa prima di chiudere: io ho fatto un tradizionale percorso umanistico, che prevede studiare, leggere determinati libri e scrivere, o comunque fare un’attività intellettuale o creativa. È quello che mi viene spontaneo fare ed è quello per cui ho studiato, e ricordo che si sono sempre scritti libri di alpinismo, si sono sempre scritti reportage, saggi e libri storici. Oggi l’industria outdoor ha completamente cancellato questa professione e l’ha compressa nelle figure dei copywriter e del giornalista (più spesso sedicente tale). Tuttavia, io non ho mai studiato comunicazione o marketing, e d’altronde non sono né iscritto all’albo dei giornalisti né ho mai studiato giornalismo; sono uno scrittore in quanto pratico l’attività della scrittura e vengo pagato per farlo, questo non fa di me Dante o Shakespeare, ma nemmeno un copywriter: non che una cosa sia meglio dell’altra ma, come tra atleti e influencer, sono attività diverse e la confusione, ancora una volta, favorisce solo chi dispensa il lavoro. Penso che la stessa cosa, in qualche modo, riguardi la fotografia. Lo trovo svilente per tutti.

Sapresti dare una possibile soluzione alle problematiche che hai EVIDENZIATO?

La domanda, il milione. Sì, la soluzione penso sia semplice: fare cose per il gusto di farle. Che non significa annullare il profitto, il lavoro è lavoro ed è giusto così, ma non avere secondi fini, essere limpidi e cercare di restituire quello che prendiamo. Far le cose per un motivo insomma, non sarebbe male.

Cos’ha questo mondo, quello outdoor, di diverso da tutto il resto che ti circonda?

Ha che tutto sommato non puoi ancora svegliarti una mattina e decidere che puoi scalare il 7c o che puoi sciare un canale al 40%, e non ci sono molte cose che ti possano aiutare quando hai un chiodo dieci metri sotto di te o altri cento chilometri da percorrere. La meritocrazia che impone la montagna non c’è in tutte le cose.