linea calda è una rubrica di interviste anonime ad atleti e professionisti del mondo della montagna.
è uno spazio, questo, in cui vengono riportate le contraddizioni, le illusioni, i no-sense che un professionista è costretto ad affrontare oggigiorno nell’industria di mamma outdoor. il tutto senza tanti fronzoli.
ai partecipanti, per garantire loro la massima libertà d’espressione, è stato cambiato il nome e il sesso; da qui il carattere anonimo del format.
ho deciso di iniziare questa rubrica perché il mondo della montagna ha preso una direzione che mi preoccupa e che credo sbagliata -o sicuramente migliorabile- per noi che la frequentiamo e, ovviamente, per la natura stessa.
lamento delle forti e ingiustificate frustrazioni verso qualsiasi pensiero o azione che non reputo, anche se in minimissima parte, indirizzate verso il bene comune, qualcosa di più grande. questo podcast non verbale ha l’unico e ambizioso scopo di far riflettere.
sono felice, davvero felice, che a questo episodio partecipi uno scalatore che ammiro molto. ci siamo visti solo una volta -per cinque minuti cinque anni fa- e, sfortunatamente, non abbiamo più avuto il modo di approfondire la nostra reciproca conoscenza. io, ma solo per adesso, mi accontento di questa intervista a distanza.
mi permetto di definirlo un solitario: viaggia da tutta la vita per scoprire e salire, in maniera molto intima, spesso da solo, nuove linee su bellissimi massi.
lui è, per me, il boulderista modello.
vi presento victor.
TRALASCIANDO IL FATTO CHE TI SIA STATO CHIESTO, PERCHÉ HAI DECISO DI PARTECIPARE A QUESTA RUBRICA?
Ho letto le altre interviste del format, mi sono piaciute e mi hanno fatto riflettere. Leggere e scrivere riguardo tali argomenti può essere d’aiuto per tutti; sia per chi intervista, sia per chi risponde e sia per chi leggerà. Perciò mi è sembrato un ottimo progetto a cui partecipare.
QUALI SONO I PRINCIPALI PROBLEMI DELL’INDUSTRIA DELL’OUTDOOR, ORA COME ORA?
Beh, non credo di essere in una posizione adeguata per saper dire quali possono essere i problemi dell’industria outdoor, oltre a non avere alcuna competenza in merito. C’è sicuramente tanta scelta offerta dalle aziende che provano a rispondere alle esigenze degli appassionati, i quali sono incrementati parecchio negli ultimi anni. Questo ha senz’altro dei risvolti sia positivi che negativi.
QUALI SONO INVECE LE PROBLEMATICHE PRINCIPALI CHE RISCONTRI, NEL TUO SETTORE, OGGIGIORNO?
Una delle differenze che si iniziano a riscontrare rispetto ad alcuni paesi è la mancanza di manager per gli atleti, una figura ancora piuttosto assente in Italia. Avere un professionista competente in grado di proporre gli atleti ad un brand con i giusti mezzi, evidenziando i corretti valori e con le capacità di saper negoziare un compenso adeguato credo sia un aspetto fondamentale per i professionisti o aspiranti tali.
QUALE È STATA LA COSA PIÙ STRANA CHE TI SIA STATA CHIESTA? A QUALI COMPROMESSI SEI DOVUTA SCENDERE?
Una volta, in una relazione che era consolidata da parecchio tempo, mi chiesero di cambiare alcune condizioni riguardo le quali eravamo già d’accordo a livello verbale. Per fortuna abbiamo trovato una soluzione che non compromettesse troppo né una parte né l’altra. Si cerca sempre di mettere le cose in chiaro il più possibile, evidenziando ciò che si può dare, fare ed offrire ma anche ciò che invece, per qualunque motivo, sia esso personale, etico o fisico, non è possibile compiere. Penso che più un rapporto è chiaro e più si ha modo di sviscerare questi temi prima di iniziare una relazione, meno si dovrebbe incorrere in compromessi poco piacevoli e controproducenti per entrambi i lati.
DI COSA HA BISOGNO UN PROFESSIONISTA, RELATIVAMENTE AL TUO SETTORE DI RIFERIMENTO, IN QUESTO PERIODO STORICO?
Paradossalmente, la cosa di cui sento più la mancanza in questa fase sono le sale d’arrampicata. Non esistono più realtà in cui crescere, imparare, confrontarsi e scalare attivamente. Questi luoghi sono diventati piuttosto asettici e accontentano, evidentemente per interessi più che giustificati, la domanda di chi approccia la scalata per sentito dire e non per una vera scoperta personale. Nulla di male in ciò, ovviamente; diventa però un approccio negativo quando si sacrificano totalmente le esigenze di chi scala da vent’anni e che non sa più dove andare per provare a soddisfare tali bisogni. Da una parte questo mi rende consapevole della fortuna che ho avuto nel poter crescere nelle sale che ci sono state fino al 2019; dall’altra, è impossibile non rattristarsi per l’attuale realtà. Anche se questo cambiamento riguarda l’indoor, vi è comunque un collegamento con l’attività all’aperto, siccome nei centri in cui ho potuto iniziare, e crescere, lo scalatore poteva essere più attivo e anche un po’ più consapevole dei propri limiti, cosa molto importante che si ritrova una volta usciti dalla palestra. Erano luoghi che potevano avere, almeno in parte, la loro funzione “formativa” in quanto offrivano meno soluzioni e più stimoli. Visto che la maggior parte di chi scala in ambiente outdoor passa prima dai muri artificiali, sono tappe che, a mio avviso, sarebbe importante mantenere.
DI COSA HA BISOGNO LA MONTAGNA INVECE?
Sono sempre domande un po’ difficili queste e, in un modo o nell’altro, riflettono parte del nostro egocentrismo. La montagna esiste a prescindere da noi e non dovremmo metterci all’altezza di cose ben più forti, più potenti e con una capacità di adattamento che noi nemmeno immaginiamo possibile. Con questo non voglio dire di non prendersi cura delle sue superfici, ma credo che una semplice educazione ambientale possa aiutare ad evitare comportamenti poco simpatici da parte di chi la frequenta. Dico semplice, ma sarebbe un lavoro pedagogico da affrontare e che quindi avrebbe effetti solo nell’arco delle generazioni.
TI PIACEREBBE UN GIORNO RIVELARE AI LETTORI LA TUA IDENTITÀ E FARTI PORTAVOCE DI QUANTO HAI SCRITTO?
Si. Anche se il format con lo pseudonimo lo trovo originale.
SAPRESTI DARE UNA POSSIBILE SOLUZIONE ALLE PROBLEMATICHE CHE HAI EVIDENZIATO?
In merito alle sale. Mi piacerebbe si guardasse all’estremo oriente perché lì pare funzionare. Forse anche per via di una cultura diversa. Però non basta il cosiddetto ‘muro giapponese’ di 2 metri * 2 in cui isolare i nostalgici. Già solo poco più a nord, in Inghilterra, esistono ancora sale che mantengono un servizio decente con una varietà di opzioni piuttosto ampia, stili molto eterogenei sia per appassionati dell’outdoor che per professionisti o atleti agonisti. Visti gli investimenti che occorrono per aprire centri giganteschi, sarebbe bello vedere almeno metà della sala offrire delle possibilità come quelle accennate nella domanda 5.
COS’HA QUESTO MONDO, QUELLO OUTDOOR, DI DIVERSO DA TUTTO IL RESTO CHE TI CIRCONDA?
E’ un mondo, parlo di quello della scalata, che offre a tutti una maniera per esprimersi e conoscersi. Oltre che una dimensione staccata da tutto il resto. L’arrampicata per me ha sempre espresso una nicchia in cui isolarmi e trovare la mia realtà, astratta o concreta che sia; un luogo speciale che non ho mai trovavo altrove. Credo che la fisicità, la scienza degli allenamenti, la preparazione e il talento siano semplicemente dei meri mezzi per un fine espressivo per me più nobile che caratterizza questa disciplina da sempre.
C’È QUALCOS’ALTRO CHE CI TERRESTI PARTICOLARMENTE AD
AGGIUNGERE?
Aggiungerei altre iniziative come queste che facciano sedere i climbers di fronte ad un foglio con delle domande su cui riflettere in compagnia di una tazza di tè e null’altro.