linea calda è una rubrica di interviste anonime ad atleti e professionisti del mondo della montagna.
è uno spazio, questo, in cui vengono riportate le contraddizioni, le illusioni, i no-sense che un professionista è costretto ad affrontare oggigiorno nell’industria di mamma outdoor. il tutto senza tanti fronzoli.
ai partecipanti, per garantire loro la massima libertà d’espressione, è stato cambiato il nome e il sesso; da qui il carattere anonimo del format.
ho deciso di iniziare questa rubrica perché il mondo della montagna ha preso una direzione che mi preoccupa e che credo sbagliata -o sicuramente migliorabile- per noi che la frequentiamo e, ovviamente, per la natura stessa.
lamento delle forti e ingiustificate frustrazioni verso qualsiasi pensiero o azione che non reputo, anche se in minimissima parte, indirizzate verso il bene comune, qualcosa di più grande. questo podcast non verbale ha l’unico e ambizioso scopo di far riflettere.
questo quarto episodio ha come protagonista una persona che stimo molto. si tratta di dri (nota: ha scelto di chiamarsi dri, perché dri è la femmina della yak; lo sapevate?). dri ha deciso nell’ultimo hanno di trasferirsi in montagna per fare la rifugista. e non solo. dri ha deciso di essere rifugista non solo per “dare rifugio” ai suoi ospiti, ma per dare loro l’opportunità di vivere il rifugio per imparare la cultura della montagna.
TRALASCIANDO IL FATTO CHE TI SIA STATO CHIESTO, PERCHÉ HAI DECISO DI PARTECIPARE A QUESTA RUBRICA?
Egoisticamente, perché dopo questa stagione molto stressante mi volevo sfogare hahaha. No a parte gli scherzi, ma sempre un po’ egoisticamente, rispondere a queste domande nero su bianco, su temi che mi sono frullati in testa per tutta la stagione, mi aiuta a decantare i pensieri e dargli forma. In secondo luogo perché penso che sia un bel modo non solo per confrontarsi tra “insider” ma soprattutto per condividere riflessioni anche con chi non si sente direttamente coinvolto nel mondo outdoor. Se le cose non si dicono, non possiamo aspettarci che gli altri le capiscano da soli.
QUALI SONO I PRINCIPALI PROBLEMI DELL’INDUSTRIA DELL’OUTDOOR, ORA COME ORA?
Sicuramente condivido appieno le risposte di Lara, Giasone e Liuk. Una massiva creazione di offerta. La generale mercificazione. Per me l’overtourism e in generale il troppo che stroppia.
Mi sono chiesta però qual è il motivo di fondo di questi fenomeni e, per rimanere su un piano personale per ognuno di noi senza parlare di filosofie di brand, economia dei territori e tecnicismi vari, penso che i problemi principali siano si le grandi e sterminate offerte sul mondo outdoor e la vastità di tipologie di pubblico alle quali sono rivolte, ma fondamentalmente è la pigrizia dell’essere umano -e un pizzico di egoismo, ma in fondo spesso si è egoisti per pigrizia-.
Costa fatica pensare a un modello di sviluppo sostenibile che lo sia per tutti (perché a parer mio se non è per tutti non lo è per nessuno) allargando il raggio di pensiero ma rimanendo legati al territorio senza strafare.
Esempio a me molto vicino: facile per un’agenzia o un’azienda del turismo promuovere un percorso in alta quota già conosciuto e famoso a livello mondiale, così sei sicuro di lavorare su qualcosa che ti dà dei risultati rapidi, senza tenere conto che l’offerta reale è satura e si sta snaturando proprio a causa di questo sovraffollamento che comunque si continua a promuovere, mentre spostandosi sull’altro versante della valle ci sono le stesse figure professionali e importanti punti di presidio del territorio che faticano a chiudere i conti. Diciamo pigrizia…
QUALI SONO INVECE LE PROBLEMATICHE PRINCIPALI CHE RISCONTRI, NEL TUO SETTORE, OGGIGIORNO?
Come scrivevo, l’eccesso di turismo, indubbiamente, che sta snaturando il nostro lavoro. C’è un grande fraintendimento sulla natura del nostro servizio, scrivi “rifugio” e leggono “ristorante” o “albergo”. La montagna non come ambiente a tutto tondo che da delle specifiche a mansioni apparentemente semplici (dare da mangiare alle persone che vanno in montagna) ma troppo spesso montagna come location per una bella mangiata. Il risultato spesso è una delusione dell’ospite, che si aspettava servizi diversi, e la frustrazione per il gestore e lo staff di aver lavorato al meglio delle proprie possibilità e non aver fatto comprendere la bellezza del proprio luogo.
E questo succede tanto più spesso quando la quantità di ospiti non ti lascia il tempo di dedicarti all’accoglienza che ognuno di loro si merita, dall’alpinista esperto che magari ha bisogno di notizie sulla condizione delle vie, al neofita che si approccia alla montagna per la prima volta e non la conosce. Noi siamo qui anche e soprattutto per lui, ma adesso non riusciamo sempre a dedicarci.
QUALE È STATA LA COSA PIÙ STRANA CHE TI SIA STATA CHIESTA? A QUALI COMPROMESSI SEI DOVUTA SCENDERE?
Hahahahaha mi è stato proposto di scrivere un libro, con le risposte alla prima domanda, ma la verità è che resetto tutto a fine giornata altrimenti a fine stagione mi tocca la riabilitazione psichiatrica.
Purtroppo le uniche cose assurde che mi rimangono davvero impresse sono le conversazioni a vicolo cieco, con ospiti che non solo non conoscono la realtà del rifugio e quindi le possibilità del nostro servizio, ma che non vogliono comprenderla.
Potrei citarti ospiti che rispondono alla carenza di acqua calda e quindi della possibilità di doccia calda con commenti passivo aggressivi tipo “beh benvenuti nel 2023..!” oppure chi, dopo una chiacchierata sull’onda di “eh non nevica più come una volta, eh che disastro lo scioglimento dei ghiacciai” pretende una bibita fresca da frigo con ghiaccio e limone a 2000 mt. perché “io pago quindi pretendo!”, senza rendersi conto del paradosso.
Il primo compromesso è sicuramente sul mio lavoro in generale: se i racconti dei miei colleghi sui bei tempi andati erano di frequentazioni di alpinisti o comunque persone esperte, e quindi il nostro ruolo era principalmente quello di presidiare un territorio tanto meraviglioso quanto difficile, e di essere “rifugio” per chi esplorava la montagna, oggi mi trovo più spesso a accogliere ospiti che vengono solo per mangiare in rifugio, non per vivere la montagna.
DI COSA HA BISOGNO UN PROFESSIONISTA, RELATIVAMENTE AL TUO SETTORE DI RIFERIMENTO, IN QUESTO PERIODO STORICO?
Di collaborazione, fare rete, e già stiamo lavorando molto in questo senso, ma si può fare di meglio.
Di una classe politica illuminata (anche solo a livello locale eh), che sostenga le iniziative e incentivi la destagionalizzazione, i servizi pubblici, la collaborazione tra le varie realtà.
Di pazienza, perché lavorare con le persone significa che non sempre saremo noi a vedere i risultati del nostro lavoro.
DI COSA HA BISOGNO LA MONTAGNA INVECE?
Fiuh… direi della nostra onestà.
Vogliamo andare in rifugio per farci una mangiata a quattro palmenti? Allora diciamocelo e siamo onesti: non ci piace andare in montagna, ci piace mangiare comodi con le gambe sotto al tavolo in un gran bel posto. Non c’è (forse) niente di male, però diciamocelo.
Ci piace la montagna per la montagna o ci piace come location?
TI PIACEREBBE UN GIORNO RIVELARE AI LETTORI LA TUA IDENTITÀ E FARTI PORTAVOCE DI QUANTO HAI SCRITTO?
Si certo, questi sono i miei pensieri e non ho nessun timore, anzi sarei contenta di parlarne.
SAPRESTI DARE UNA POSSIBILE SOLUZIONE ALLE PROBLEMATICHE CHE HAI EVIDENZIATO?
Non so se chiamarla soluzione perché non è un’azione definitiva e circoscritta ma piuttosto un approccio: investire nelle persone. Dedicare tempo e avere fiducia, lavorare con approccio educativo -non accontentare ma far comprendere.
Fare rete e non ostruzionismo.
Quando è necessario, avere coraggio e esporsi.
COS’HA QUESTO MONDO, QUELLO OUTDOOR, DI DIVERSO DA TUTTO IL RESTO CHE TI CIRCONDA?
Non moltissimo direi, forse una patina un po’ idealizzata..? Sicuramente direi possibilità diverse.
C’È QUALCOS’ALTRO CHE CI TERRESTI PARTICOLARMENTE AD
AGGIUNGERE?
Che a prescindere dagli sfoghi e dai racconti tragicomici, c’è una grande voglia e spinta a fare meglio e fare bene, perché dove le cose importanti non funzionano bisogna metterci le mani in prima persona, e farlo insieme.