Polivalenza
Fabian Buhl è uno degli alpinisti più polivalenti e sfaccettati della scena mondiale contemporanea. Dopo un passato da forte sciatore agonista, Fabi ha scoperto l’arrampicata, dedicandole la totalità delle proprie energie. La sua curiosità verso la scalata in tutte le sue forme (dal bouldering all’arrampicata sportiva, dalle multipitch alle solitarie) è stata anche la benzina che lo ha portato a spostarsi verso cime sempre più lontane, verso un alpinismo a tutto tondo e a tutto mondo. Solo recentemente Fabi ha rivolto il suo sguardo e il suo dinamismo verso quella che è ritenuta da molti la nuova frontiera di vivere la montagna: l’arte del volo libero. Neve, roccia, ghiaccio e aria. Fabi condensa tutti gli elementi della montagna in una visione multidimensionale, “multi-alpinistica”. L’estetica, la difficoltà e la velocità hanno sempre l’assoluta rilevanza nei termini dell’intensità dell’esperienza, ma sono condite ulteriormente di una sperimentazione tipica delle nuove esplorazioni. Esplorazioni che, come si può dedurre dall’introduzione, si concretizzano di questi tempi anche dall’approccio che l’alpinista ha con la tecnologia e con sé stesso. La stessa tecnologia che, anche e soprattutto nei panni controversi e contraffatti dei social media, ha rivoluzionato l’essere umano e il suo modo di vivere e percepire l’intera realtà e, come ovvio che sia, anche la natura, la montagna e l’alpinismo.
Narcisismo
“I social media hanno acquisito molta influenza negli ultimi anni. Secondo alcuni sta diventando lo strumento misurabile più importante del nostro alpinismo, la scalata stessa è secondaria rispetto agli obiettivi della sponsorizzazione e al potenziale del contenuto prodotto […] È tempo di mettere in discussione il nostro approccio e la nostra motivazione […] Dobbiamo accontentare gli sponsor, ma l'essenza dell'alpinismo è concentrarsi sulle visioni e perseguirle con impegno. Se il motto “climb first, talk later” è la nostra linea guida, non avremmo molti problemi, ci divertiremmo molto di più e l'alpinismo sarebbe probabilmente più sicuro.” Quella riportata è la traduzione di un estratto dell’articolo “Könnte Narzissmus im Bergsteigen das Ende des Idealismus bedeuten?” (tradotto in italiano “Il narcisismo nell’alpinismo può significare la fine dell’idealismo?”), scritto proprio da Fabian e pubblicato come contributo in uno degli ultimi libri di Reinhold Messner, dal titolo “Zwischen Durchkommen und Umkommen: Die Faszination des Bergsteigens” (tradotto in italiano “Tra sopravvivere e morire: il fascino dell’alpinismo). Ed è proprio questo articolo il tema centrale del corto: il rapporto tra alpinismo, tecnologia e social media. In riferimento al fenomeno social, Fabian è certo di una cosa: essi nuocciono irrimediabilmente l’alpinismo. Gli alpinisti sono sempre meno alpinisti, le riviste sempre meno riviste e le aziende sempre più aziende. Se da una parte aumentano gli alpinisti con un’etica sempre più morbida e mediocre, così le riviste di settore spesso non si preoccupano della qualità delle proprie notizie (per non parlare della loro veridicità), mentre, dall’altro lato, sono sempre meno le aziende di montagna che mettono al centro della loro attività la montagna. È semplice da capire.
• Gli alpinisti ormai non si chiamano alpinisti, bensì “atleti”.
• Gli atleti devono compiacere gli sponsor che danno loro denaro per compiere quelle che dovrebbero essere salite straordinarie o, comunque, risultati degni di nota (le aziende, dal canto loro, devono giustificare tali investimenti).
• Gli atleti devono essere anche comunicatori eccelsi, perché le aziende devono anche creare contenuti. Alle volte succede che, come risultante di questo procedimento contorto, alcuni di questi atleti diventino comunicatori così eccelsi da dimenticarsi di essere effettivamente degli atleti (figuriamoci alpinisti).
• Gli atleti condividono le proprie salite su riviste, blog e web magazine di montagna.
• Riviste, blog e web magazine compiacciono sponsor e aziende attraverso il meccanismo arcaico-moderno della pubblicità. Alcuni di questi mezzi di informazione inoltre predispongono degli spazi mono-brand esclusivi, ovviamente a pagamento.
• Il personale delle riviste, dei blog e dei web magazine di montagna pratica sempre meno le attività che queste trattano o dovrebbero trattare. Questo, ovviamente, intacca la qualità stessa dell’informazione di settore.
• Il mercato outdoor non è mai stato così florido. Alcune delle aziende del mercato outdoor non hanno nemmeno risentito del cosiddetto “effetto pandemia”.
• Le aziende dell’industria outdoor cavalcano la moda e la tendenza, praticando profitti piuttosto importanti.
• È sempre minore anche il personale delle aziende che pratica le attività che vende, tra cui l’alpinismo. Questo, ovviamente, intacca la qualità stessa dei prodotti.
• In tutto questo, le aziende devono compiacere il mercato. Il mercato ha delle regole che non si possono controllare.
• Il mercato compiace se stesso.
La parola d’ordine rimane “compiacere”, la priorità “vendere”. Vivere la montagna sembra sempre più piegarsi ai meccanismi ormai tipici del nostro tempo: quelli della logica del nonsenso. In un mondo in cui la verità è estremamente malleabile, a causa soprattutto della facilità della sua manomissione, essa ne perde per forza di cose la consistenza. La verità s’incurva, l’oggettività diventa soggettività. E la soggettività, quando è portata al suo culmine, diventa narcisismo. Fabian invece è un alpinista la cui consapevolezza riflette un’umanità in controtendenza, in cui non esiste il bisogno di mostrare la versione migliore di sé stessi e seguire l’ingannevole mito dell’autocelebrazione, compiacere le aziende ed essere degli alpinisti-comunicatori. Fabian ha deciso di allontanarsi da qualsiasi tipo di distrazione, virtuale e non, per focalizzarsi interamente alla ragione della sua vita: l’alpinismo in ogni sua forma e combinazione.
Ignoto
Ignoto ed esplorazione sono una coppia di termini che l’uomo non ha mai considerato separatamente: tutto ciò che non si conosce deve essere scoperto, è sempre stato così e così sarà per sempre. Lo è stato per Marco Polo, Charles Darwin, Amelia Earhart, Ernest Shackleton, Mary Kingsley, Neil Armstrong e per tutte le donne e gli uomini che hanno voluto mettere il naso “un pò più in là”. In alpinismo, se allarghiamo la prospettiva dai social media a un punto di vista strettamente tecnologico, l’ignoto diventa sempre più piccolo, diventando sempre meno sconosciuto. L’equipaggiamento moderno, le previsioni meteo in costante aggiornamento, i corpi nazionali e internazionali di soccorso anche nelle regioni più remote del pianeta hanno reso tutto più semplice, sicuro, scontato. Esistono variabili che, soprattutto se la prerogativa è la ricerca dell’avventura, vanno riviste: l’incertezza, l’accettazione dell’ignoto e la completa dedizione all’obbiettivo. La concentrazione, la fatica e l’attesa sono ciò di cui l’alpinismo moderno ha bisogno per le grandi salite del futuro, ma è anche ciò di cui l’alpinista contemporaneo ha bisogno per raggiungere una consapevolezza superiore e completa, soprattutto come essere umano.
Tempo
Il concetto di tempo non è mai stato tanto distorto. Questo perché la velocità a cui la vita si muove non è mai stata tanto elevata. Muoversi in maniera lenta non è più considerato efficiente, questo concetto vale per qualsiasi cosa. E l’alpinismo non ne è esente. I tempi dell’alpinismo sono tanto veloci quanto i tempi i cui l’alpinismo viene raccontato. Non serve più infatti navigare lunghe settimane per attraversare l’Oceano Atlantico per immergersi nell’ambiente selvaggio della Patagonia, come non è più necessario aspettare altrettante settimane, se non addirittura mesi, per ricevere notizie o racconti riguardanti una specifica spedizione. L’informazione “fast-based” ha ucciso, perché di questo si tratta, l’aspetto più affascinante e romantico di cui è composto l’alpinismo: l’attesa. L’immediatezza sterilizza l’essenza stessa su cui quelle avventure e quei racconti dovrebbero erigersi. Per non parlare della velocità con cui il successo di un alpinista venga lodato per poi essere dimenticato pochi giorni dopo, con la prossima notizia, in un clima di disarmante disinteresse.
Rischio
Il rapporto tra social media e alpinismo assume per Fabian una valenza talmente ambigua da considerarsi rischiosa. Per l’alpinismo che si esprime ai massimi livelli è necessaria la massima concentrazione per la via, la scalata e le condizioni della parete. Solo così si è in grado di potersi prendere delle responsabilità per sé stessi e il proprio compagno. Legare una “motivazione social” ad una scalata importante porta per forza di cose a un rischio che, aggiunto a quello intrinseco in alpinismo, non può essere considerato in alcun modo se non inutile. Non si tratta più di scalare per motivi scientifici, per essere degli eroi, per riscattare la propria nazione, ma per vivere intensamente un’esperienza. E nonostante il rischio di un incidente praticando alpinismo non si azzeri mai, è davvero un peccato se si realizza per motivi sbagliati ed evitabili. Invece continua a prendere forza, anche se passa inosservata, l’abitudine dei singoli individui di spingersi per un numero sempre maggiore di volte e per intervalli di tempo sempre più lunghi al di là dei propri limiti. Ciò non accadrebbe infatti in condizioni normali, in cui si pratica un’attività prettamente per se stessi, per il proprio benessere psico-fisico, non considerando altre variabili costantemente alla portata di scroll. Fabian invece ha deciso di dare spazio al “come”, piuttosto che al “quanto”, puntando alla qualità e alla sicurezza del proprio alpinismo. Vale veramente la pena interrogarsi sul motivo per cui si agisce in un determinato modo e al gusto che si vuole dare a tale esperienza. Se tale ragionamento viene tenuto in riferimento invece a un pubblico di semplici appassionati e non di professionisti, quello dell’emulazione resta tuttora il rischio primo e più pericoloso.
Responsabilità
Tutto deve partire da una domanda: “Perché scalo?” E tutto deve finire con la stessa identica risposta: “Perché scalo.” Domanda e risposta sono la responsabilità che gli alpinisti devono prendersi per rendere questa attività più sicura, più viva. Perché l’alpinismo torni ad essere l’arte del sopravvivere lassù per vivere quaggiù. Vi lascio con queste parole, a dimostrazione che c’era già chi, prima di Fabian, si interrogava su queste tematiche.