cosa sta succedendo?
i versanti della nostra valle sembravano piatte come un mare calmo, il vento rimbalzava in un eco ininterrotto e il cielo aveva una tinta blu monotona. anche l’ultimo raggio di luce era stato soffiato via. l’aria calda faceva sudare la terra.
stavo ammazzando il tempo contando le foglie gialle pastello di una betulla candida, bellissima. la contemplavo, assorto in un tempo indefinito, fino a che non sono stato investito. è stato uno schiaffo gratuito, invisibile, violento. il terreno sotto di me ha iniziato a tremare e a creparsi come la più morbida delle sostanze.
avevo paura.
avevo paura nonostante fossi avvolto, quasi custodito, dall’abbraccio dei miei fratelli e delle mie sorelle. la resistenza che opponevamo con i nostri corpi e le nostre mille braccia generava un urlo ancora più forte, più forte persino di quel vento, vigliacco e maligno. era venuto da chissà dove e chissà per quale motivo. noi eravamo in molti, ma eravamo soli.
tutti noi avevamo paura.
come una folla in preda al panico eravamo in balia di noi stessi, senza alcun controllo, alcuna speranza. arrivavamo a toccarci, quasi a pungerci. un fratello veniva sbattuto a terra, un tonfo. era gravemente ferito, immobile, ricurvo, spezzato. il sangue ambrato macchiava il suo corpo robusto e scheggiato. volevo vomitare.
un altro tonfo.
e un altro.
e un altro ancora.
quello vicino a me veniva tranciato a metà per il tronco. la forza centenaria non bastava, non in quel momento. se è così che deve finire, pensavo, spero che arrivi presto il mio turno.
quel momento non arrivava mai. rimanevo lì, scosso, ferito, ma intero.
la notte intanto, indifferente, ci avvolgeva.
della betulla che tanto avevo osservato, non rimaneva più nulla. non c’erano più foglie da contare.
mentre calava il vento, si sollevava assieme al silenzio un’aroma di resina.
era il profumo delle nostre morti.
a mesi di distanza la neve mi addobba, e come quasi nulla fosse, nasconde i corpi caduti. ancora lì, ancora immobili.