Hura
libera
descrizione
Tutte le storie vanno trattate con cura. Alcune però più di altre. Raccontare una storia equivale ad immergersi.
Il mare ne sa qualcosa. È una superficie mossa, riflette in maniera distorta, inganna. Alle volte ci si ferma proprio lì, in superficie, un pò perché fa comodo, altre volte perché non si è in grado o semplicemente perché non si vuole andare più a fondo. Perché scavare, immergersi appunto, porta lontani dalla luce: è difficile vedere dove si sta andando quanto da dove si è venuti. Raccontare la storia di qualcuno, come in questo caso, significa proprio questo: brancolare nel suo buio e cercare una direzione verso un risvolto positivo e, dove possibile, comune. È proprio per questo che occorre portare maggiore attenzione verso alcune storie, perché sono delicate, sotto molteplici aspetti.
Raccontare Wafaa è questo.
Hura non è una storia di arrampicata. D’altronde, come sarebbe potuto esserlo?
Hura è anche una storia di arrampicata, nel momento in cui si è disposti ad intendere questa attività come una forma d’espressione e di crescita.
Hura non è la storia del raggiungimento del grado e la rottura della barriera del limite, ma è la storia della difficoltà e della rivincita o, per meglio dire, della libera consapevolezza e della consapevole libertà. Che poi Hura, in arabo - la lingua nativa di Wafaa - significa proprio questo: “libera”.
Wafaa è un’arrampicatrice popolare in Italia, perché la storia della sua vita ha colpito un pò tutti.
Come esseri umani siamo generalmente attratti dalle vicende che trattano situazioni complicate. Non mi incuriosisce il fatto in sé, ma il perché, il meccanismo mentale che si innesta nel nostro cervello. Credo sia più forte di noi, che esista un richiamo verso il dolore e la rivalsa, due termini che non sono mai fini a se stessi, ma che coesistono in simbiosi. Ci sono storie in cui proviamo spontaneamente il bisogno di immedesimarci e provare empatia, come una sorta di terapia catartica. Generalmente questo meccanismo riguarda tutti gli esseri umani eccetto uno, ovvero il diretto interessato, il protagonista della storia, che si pone, il più delle volte involontariamente, come il modello da seguire, la speranza a cui aggrapparsi. Forse è proprio questo il perché che tanto mi incuriosisce.
La speranza.
La speranza mantiene vivi, sempre. E in questo momento, ora più che mai, abbiamo bisogno di aggrapparci a qualcosa più grande di noi. Forse è per questo che occorre insistere nel riportare meno storie di arrampicata e più storie di arrampicatori. Il Covid è stata solo una dimostrazione, ma c’è sempre più l’esigenza di ritornare al lato umano delle cose. Suona banale, lo so. Eppure è anche vero che la banalità è figlia del buonsenso.
Hura è il modo di mettere in pausa cliccando play, è un modo per ritrovare la speranza, e perché no, la libertà.
credits
cliente: la sportiva
riprese: matteo pavana, pietro porro e paolo tagliabue
montaggio: matteo pavana e pietro porro
color: pietro porro
sound design: luca tommasoni
effetti: pietro porro
musica: artlist